L’amico Claudio Mercandino, autore della Tachisideròdromofobia, mi ha mandato sotto mentite spoglie l’anagramma del suo nome-e-cognome, che non sono riuscita subito a decifrare. Dopo un po’ di attesa, mi ha inviato questi versi:
Cara Alessandra, non riconosciuto,
vivo il mio triste ed abbacchiato dramma:
neppur l’occhio celanico tuo acuto
seppe intuir del nome l’anagramma!
(La cosa non è poi così balorda,
poiché vuol dir che i miei mescolamenti
Célano ben l’identità, e pur sorda
riman l’orecchia e dura ai disattenti).
Quando, entusiasmandomi oltremodo per quegli endecasillabi, li ho definiti, nella risposta all’autore, una meraviglia, me ne sono arrivati altri:
La maraviglia è del poeta il fine
(e pure del Merkanda, quando riesce)
sicché, quando ricama le sue trine
nuotando tra le rime come un pesce,
talor trae nell’inganno chi, distratto,
guarda attraverso un culo di bottiglia
così da equivocar topo per gatto.
Già, è del poeta il fin la maraviglia.
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