Archivio per luglio 2011

Altri alessandrini-cicatrici

Ho continuato a cercare versi alessandrini in Cicatrici, come avevo già fatto qui.

Amavo i materassi | grandi in solitaria,
quelli dove ti puoi | muovere senza intralci
e se ti piace nuoti | e se ti piace scalci:
mi viene una tristezza | addosso che non so.

Fonti:
(1,2,3) Mitia Chiarin “Fatacarabina”, Il drago, p.50
(4) Marco Manicardi “Many”, Niente, p.135

N.B. I primi tre versi li ho trovati già in forma alessandrina  e con una bella rima, benché inglobati in una frase più lunga (e non so se l’autrice ne fosse consapevole, quando li ha scritti).

Alessandrini – cicatrici

Qua ho provato a saccheggiare l’ebook Cicatrici di Barabba Edizioni (quello che contiene anche una Cicatrice acrostica) alla ricerca di alessandrini utili per comporre poesie da prose. Sono sicura che troverò ancora altro, per ora c’è questo (ho separato con un segno i settenari all’interno di ogni verso, perché mi pare che il ritmo, così, sia più chiaro):

Le cicatrici sono | sempre dei mostri orrendi,
demoni che la notte | disturbano il sonno.
Le ossessioni hanno sempre | una punta, uno spigolo,
le più banali sono | cartelli di pericolo.
Ti serve tanto tempo | per poterne parlare
un po’ perché non vuoi, | un po’ perché non puoi.

Le fonti, dal primo all’ultimo verso:
(1) Giulia Blasi , Bar Primavera, p. 244
(2) il Many, Barabba, Più o meno un’introduzione, p.12
(3) Elena Marinelli “osvaldo”, Il buco, p. 113
(4) Fabrizio Chinaglia “Bicio”, Il callo alla vita delle lucertole, p. 97
(5, 6) Sergio Pilu “[SirSquonk]”, Metal detector (mi sa che domani piove), p. 86

Alessandrini presi in prestito – 2

Il procedimento è quello spiegato qui. Questa volta, ho sfogliato Madame Bovary e due libri di Erri De Luca:

La pesca del mattino, il ritorno alla spiaggia,
un’isola sdraiata in mezzo all’orizzonte,
il metro di distanza tra i suoi piedi e il mare;

come un lenzuolo umido, il freddo della calce,
e perfino le palpebre che ogni tanto sbatteva
solo, di faccia al fuoco, su una piccola tavola:

furono tutto quello che ho saputo del mondo.

Le fonti, dal primo all’ultimo verso:
(1) Erri De Luca, Tu, mio, Feltrinelli, 2003 (sesta ediz.), p.37
(2) Erri De Luca, Aceto, arcobaleno, Feltrinelli, 2002 (settima ediz.), p.10
(3) Erri de Luca, Tu, mio, cit. p.20
(4) Gustave Flaubert, La signora Bovary, traduzione di Natalia Ginzburg, Einaudi 1983, p.104
(5) ivi, p. 97
(6) ivi, p. 29
(7) Erri De Luca, Aceto arcobaleno, cit., p.10

Social limerick etruschi

Un giorno, su un social network che frequento, vic ha nominato Populonia e Vetulonia. Ispirata da questi bei toponimi, ho risposto con un limerick. Subito anche altri amici hanno risposto, come spesso succede nei social network (e questo è uno dei motivi per cui mi piace frequentarli) e ne sono venuti fuori un bel po’ di versi, più o meno insensati:

Un celebre architetto a Vetulonia
fu invitato a una triste cerimonia.
Vi rimase in disparte
scrutando in certe carte,
e canticchiò “Sognando California”.
(Alessandra)

Nel golfo prospicente Populonia
l’etrusco coltivava una begonia
poi vennero i Romani
e non vi fu domani
per il povero etrusco e la begonia.
(Marco Beccaria)

Un giovane turista a Vetulonia
disse: “Qua è peggio della Caledonia!”
Ma “l’ombra della sera”
bellissima e severa
gli fece perdere quell’acrimonia.
(Alessandra)

Un bancario interista di Baratti
non amava il mercato di Moratti
“Se vendiamo Cambiasso
possiam prendere un asso
tipo Pancev, Vampeta o Paramatti”
(Marco Beccaria)

In risposta al limerick con l’ombra della sera, vic precisa quanto segue: “l’ombra della sera è a Volterra, non a Vetulonia (e se non ce lo so io, ché il babbo nacque nella casa a cinquanta metri dal museo guarnacci)”

Giacomettiana, l’ombra della sera
verseggiando, in città non veritiera
fu messa; tosto vic
corresse nunc et hic
ché il babbo nacque a un passo da dov’era.
(batduccio)

In quei versi ispirati a Populonia
e Vetulonia, ormai era babilonia.
«Cerchiam nei cinefòra
“L’etrusco uccide ancora”»
disse uno dall’aria un poco ctonia.
(Alessandra)

Ho in casa un clone d’ombra della sera
ma è circa la metà di quella vera
non sono un lucumone
ma senza esitazione
cor core dico: sono de Voltera.
(vic)

Lo zio di nonna Monia a Vetulonia
Le espose la seguente querimonia:
se tu sei vecchia, cara
io quasi ho nella bara
il piede in quanto zio di nonna Monia.
(Arimsvotnpölpzwei)

Questo thread nonsense, witty, dada e freak
qualcuno spinge in alto, in home, col cric.
Giuro (non è fandonia),
mo buco Vetulonia,
Volterra e Populonia, e puro Vic!
(Leonardo)

Un professore di Canicattì (*)
irritato dagli up del thread ch’è qui
sbottò con modi bruschi:
“Oh! E che palle ‘sti Etruschi!”
e i poeti in effetti li azzittì.
(Alessandra)

(*) non sapevo di dove fosse Leonardo; gliel’ho chiesto:

Un noto professore di Piacenza
a un certo punto perse la pazienza:
“Men fastidioso è un tic
dei vostri limerìck!”
Ma non ne aveva colpa il poro vic.
(Alessandra)

(qui non ho rispettato la regola delle rime AABBA)

Il giorno successivo, ho aperto il libro di Stefano Bartezzaghi (Sedia a sdraio – Giochi impensati per svagare la mente, Salani editore) appena arrivato, e la prima cosa che mi è apparsa è stato un limerick (secondo me molto bello) di Duccio. Poi sono andata indietro a cercare un altra pagina in cui si parlava di limerick e ho trovato: “I limerick sono strofe di cinque versi. […] In fondo al primo verso, e spesso anche all’ultimo, c’è il nome di un posto: ‘C’è un prete in pedalò a Populonia…'” Stupita (ma neanche poi tanto, ché ci sono abbastanza abituata) da questa bella coincidenza, simile a quelle che la poetessa Giulia Niccolai chiama frisbee, l’ho raccontata agli amici del thread. Vic, che deve averla interpretata come un caso di serendipity, ha risposto così:

Un ballerino scalzo a Serendip
dopo del tap scoprì per caso il tip
restò nascosto il rap
però ha colmato un gap
quel ballerino scalzo a Serendip.
(vic)

Cicatrice acrostica

Questo è il mio contributo a Cicatrici, un ebook collettivo di Barabba Edizioni.
L’intero ebook si può leggere e scaricare (pdf, epub o mobi) seguendo il link.

(Senza titolo)

(Posizione)
Basso ventre.

(Cause)
Taglio cesareo.

(Conseguenze)
Avrei voluto essere capace di scrivere qualcosa sulla cicatrice lasciata da due tagli cesarei, qualcosa a proposito di questo: io non lo so quante volte ripensa al parto una donna che ha partorito spontaneamente (mi pare si dica così), ma so che una cicatrice come quella lasciata da due tagli cesarei ti fa ripensare continuamente a quelle due volte che hai sentito tutto un tramestio senza avvertire dolore, tutta una serie di scuotimenti e di manovre che non riuscivi bene a interpretare e poi hai sentito finalmente un pianto e poi ti hanno avvicinato un piccolissimo bambino e quando la sua guancia ha sfiorato la tua, il pianto è immediatamente cessato (ed è iniziato il tuo) e la cosa bruttissima è stata che il gesto istintivo di abbracciare, di toccare con le mani è stato frenato da certi legacci che bloccavano le braccia. E insomma, tutto questo, se non ci fosse altro motivo per ricordarlo, ci penserebbe la cicatrice a fartelo ricordare, praticamente ogni giorno.
Avrei voluto essere capace di scrivere per bene su questo, poi ho ripiegato su un acrostico:

Cesareo.
Intervento chirurgico,
attesa terminata,
roseo infante,
cicatrice imperitura.

Poesie da prose, ovvero alessandrini presi in prestito

Il verso alessandrino si compone di due emistichi di almeno sei sillabe ciascuno. Nella metrica francese si tratta di un doppio esasillabo; in quella italiana, di un doppio settenario.
Gli Oulipiani propongono un esercizio di composizione poetica a partire da versi alessandrini da cercare all’interno di testi in prosa. Si tratta di un collage che dà origine a poesie da prose. (*)

Ho scelto un testo di George Simenon e uno di Luigi Pintor e mi sono messa a cercare. Ne è venuto fuori questo:

Spesso a quest’ora vado su e giù a lenti passi.
Temo che non mi basti l’animo e che la morte,
che qualcuno si celi dietro quell’apparenza:
un tipo trasandato, dal fisico infelice
e di un soffio di vento e di un suono ha paura.

Risate femminili, fumo di sigaretta
si avvita verso il cielo e si perde nella notte.
Senza pensare a niente (questa è la mia intenzione)
guardo l’aria imbrunire e calare la notte,
i cocci di bottiglia di cui il muro è pieno…

Le fonti, dal primo all’ultimo verso:
(1) Luigi Pintor, I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, 2003, p. 66
(2) ivi, p. 11
(3) ibidem
(4) George Simenon, Maigret e i testimoni recalcitranti, Traduzione di Ugo Cundari, Adelphi Edizioni, 2006, p. 53
(5) Luigi Pintor, cit., p. 23
(6) George Simenon, cit., p. 101
(7) Luigi Pintor, cit., p. 11
(8) ivi, p. 66
(9) ibidem
(10) George Simenon, cit., p. 130

P.S. Mi ha dato molta soddisfazione la citazione montaliana finale.

(*) Di poesie da prose si parla in OULIPO, La letteratura potenziale (Creazioni Ri-creazioni e Ricreazioni), edizione italiana di Ruggero Campagnoli e Yves Hersant, Clueb, Bologna, 1985, pp.203-210

Traduzioni circolari

I traduttori automatici possono essere dei prodigiosi strumenti di letteratura potenziale: si ottengono risultati interessanti traducendo un testo dall’italiano in un’altra lingua qualsiasi e ritraducendo in italiano il testo così ottenuto. Risultati ancora migliori e testi più surreali si ottengono con più di un passaggio. Negli esempi che seguono (L’infinito e l’incipit dei Promessi Sposi), ho tradotto (forse esagerando) dall’italiano al russo, dal russo all’inglese, dall’inglese all’arabo, dall’arabo al francese e dal francese all’italiano.

Era ancora costoso per me questo colle da soli,
questa barriera, molti
un orizzonte, visualizzazione finale.
Ma sedetevi e pensate all’infinito
spazio per questo, e sovrumano
un profondo silenzio e la pace.
Pensavo di far finta che io sono
dove in un breve periodo
il mio cuore non è scioccato. Come il vento
voglio dire, nel furto di queste piante, che
il silenzio infinito di questo articolo
confronto VO, e mi ricordo l’eterno,
e le stagioni morte, e questo
vivere, e la voce di esso. Anche tra quelli
l’entità del naufragio dei miei pensieri:
e dolce annegare in questo mare.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

*

Questo ramo del Lago di Como, sulla strada per il pomeriggio tra due catene non interrotte di monti, tutto per il cancro al seno e frutti di bosco, a seconda della presentazione, cadde di nuovo, e disse che improvvisamente ridotto assume l’aspetto e il fiume, tra la testa su un lato opposto del fiume e il ponte di collegamento su entrambi i lati di questo, sembra che questa transizione più sensibile all’occhio, e segna il punto che termina nel lago e l’ADA, di nuovo, quindi riprendere il nome del lago, ancora una volta, permettendo all’acqua di diffondere e rilassarsi nelle baie, una cassa e di nuovo.

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni ed a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia riviera di rincontro; e il ponte che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lasciano l’acqua distendersi e allentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.

Ancora limerick

Un giovane poeta di Cadore
prese una stanza in un albergo a ore.
Da solo se ne stette
e vi compose sette
delle più belle sue poesie d’amore.

Una ragazza bruna a Bratislava
nella vasca da bagno si tuffava
e così, puntualmente,
le si rompeva un dente.
Ormai di una dentiera abbisognava.

Un giovanotto di Torre del Greco
scorse su una parete un grosso geco.
Fissandolo – occhi opachi –
chiese: “balli il sirtaki?”
E si sentiva molto Zorba il greco.

Altri limerick

C’era un artista un po’ strano a Zemrude (*)
che mangiava soltanto alici crude,
beveva solo latte,
stava sempre in ciabatte
e dipingeva solo donne nude.

Volevan gli abitanti di Zobeide (*)
dimenticare certe donne laide,
sognarne solo una,
lieve come una piuma.
E si facevano di formaldeide.

Un timido geometra, a Lunghezza,
misurando, preciso, la larghezza
della pensione “Fiore”,
sentì un gran tuffo al cuore
e maledisse la sua timidezza.

(*) Zemrude e Zobeide sono due delle città invisibili di Italo Calvino


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