In una conversazione su Facebook, un paio di giorni fa, notavo come fioccassero i “mi piace” alla notizia che, dopo aver pensato di scrivere un sonetto, avevo invece deciso di fare una focaccia. Il sospetto che i miei amici, con il loro apprezzamento, volessero festeggiare uno scampato pericolo, mi ha indotta ad infliggere loro questo sonetto. (Sui social network, a volte, ci si diverte molto.)
Oggi volevo scrivere un sonetto
ispirata non so da quale musa,
come per abbellire di un balletto
di rime una giornata assai confusa,
ma poi: due etti e mezzo di farina
manitoba e altrettanta doppio zero,
più acqua, sale, lievito, e in cucina
poco lavoro (non mi è parso vero).
Impasto a lievitare per tre ore,
poi nella teglia (olio sotto e sopra)
un ultimo riposo e col calore
del forno, infine, si è compiuta l’opra.
Ma come fu che quell’ispirazione,
quell’afflato confuso e indistinto
che – oserei dir – mi si leggeva in faccia
trasmutò in gastronomica pulsione?
Io non lo so, so solo che d’istinto
deragliai: dalle rime alla focaccia.
Delizioso!! In tutti i sensi!!!!♥